di Gianluca BERNARDINI

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Le cose che accadono nella nostra esistenza sono frutto del destino, del caso o forse di un disegno misterioso che chiede una lettura più profonda e matura? Parte, probabilmente, anche da questo interrogativo l’ultima opera di finzione di Wim Wenders «Ritorno alla vita», dopo i recenti documentari «Sale della terra» (2014) e «Pina» (2011). Tratto da uno scritto dello sceneggiatore norvegese Bjorn Olaf Johannessen, il film narra dodici anni della vita di Tomas (James Franco), giovane scrittore canadese che con la sua auto, a causa di una improvvisa deviazione, investe un ragazzino che sta giocando sulla neve con il fratello minore. Pur senza colpa, l’episodio segnerà profondamente la sua vita e quella di Kate (Charlotte Gainsbourg), madre del piccolo, nonché del fratello Christopher. Tomas negli anni diventerà famoso e si costruirà una famiglia con tanto di figlia che la natura non gli ha concesso di avere, mentre Kate, profondamente religiosa, si prenderà cura di Christopher che crescendo nutrirà una sorta di ammirazione-odio per il suo scrittore «preferito». Il grande cineasta tedesco mette in scena una storia apparentemente convenzionale, dosando immagini, parole (asciutte e misurate), gesti (importanti) e musica (dell’ottimo Alexandre Desplat) con sapiente maestria. Wenders brilla qui per la cura delle inquadrature come per la luce usata che spesso si posa eloquente sui volti dei nostri protagonisti. Luce che rimanda a qualcos’altro, che dice l’accadere del «mistero» nella nostra vita. Quel mistero che molte volte stravolge e segna, ma che pure accompagna provvidenzialmente lo scorrere dei nostri giorni fino alla fine. Non per nulla forse anche il titolo originale «Every thing will be fine» («Ogni cosa andrà bene», ndr) ha un suo senso. Per chi ama il cinema, nel vero senso della parola.

Temi: dolore, elaborazione del lutto, colpa, perdono, famiglia, senso della vita.