di Gianluca BERNARDINI

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«Prima di sapere una cosa, devi sapere perché la vuoi sapere», così Ettore (Giorgio Colangeli), anziano ex professore, dice al giovane Kiko (il bravo esordiente Mark Manaloto), mentre confidenzialmente chiacchierano fuori dal «rifugio segreto» (commovente) che l’adolescente si è costruito attorno casa: un vecchio autobus pieno di ricordi dell’amato padre, perso tragicamente quando era ancora troppo piccolo per affrontare il mondo. Quel mondo che oggi gli sembra così triste e ostile, in mano a un patrigno, Ennio (Giuseppe Fiorello), che lo vuole dedito più al lavoro che allo studio, e una madre, Marilou (Hazel Morillo), originaria delle Filippine, che non riesce a comprenderlo fino in fondo. Kiko infatti ha solo sedici anni e, pur essendo molto intelligente, rischia di essere bocciato per la seconda volta. Nonostante sembri accettato dai compagni, Kiko ha pochi amici con i quali condividere le proprie giornate, se non i ragazzi clandestini con cui spesso lavora come muratore, sotto la guida arcigna del compagno di sua madre. Un giorno «per caso» incontra però Ettore che, spacciandosi per una vecchia conoscenza del padre, si presterà a dargli una mano per lo studio. Tale incontro, seppur gravido di dolore e mistero, si rivelerà per lui del tutto provvidenziale. Parte da qui il quarto lungometraggio di Vittorio Moroni, «Se chiudo gli occhi non sono più qui» – dopo «Tu devi essere il lupo», «Le ferie di Licu» e «Eva e Adamo» – che arriva in sala ora, dopo aver partecipato allo scorso Festival internazionale del Film di Roma. Frutto di cinque anni di lavoro, scritto dal regista valtellinese con Marco Piccarreda, il film mette in scena un micro-cosmo (friulano) che, oltre a toccare questioni che riguardano il nostro tempo (come l’immigrazione, la dispersione scolastica, lo sfruttamento dei clandestini), punta dritto alla vita e alle speranze di un giovane con estrema delicatezza e toccante profondità. Un vero racconto di formazione che, incentrato soprattutto sul rapporto tra Ettore e Kiko, spinge la riflessione a mettere a fuoco quelle che possono essere le opportunità di riscatto di fronte a un destino che appare del tutto ostile: su tutte la possibilità di crearsi un futuro «altro» attraverso l’amore per la conoscenza e lo studio. Se da una parte i tempi «dilatati» del film non paiono essere consoni alle abitudini visive dei ragazzi di oggi, ci auguriamo che il progetto, come previsto, arrivi nelle scuole secondarie per parlare ancora una volta, forse, al cuore delle giovani generazioni. 

Temi: adolescenza, paternità, scuola, educazione, lavoro, lutto, formazione, riscatto, «meticciato».