Dopo il successo ai David di Donatello (ri)parliamo con il film Il Traditore, di Marco Bellocchio.

Il traditore

«Il traditore» di Marco Bellocchio è stato il trionfatore indiscusso degli ultimi David di Donatello. Durante la cerimonia svoltasi in «smart working» con lo studio vuoto e i candidati in collegamento video, il film ha raggiunto il notevole traguardo di 6 premi: miglior film, regista, attore protagonista (uno spettacolare Pierfrancesco Favino), attore non protagonista (Luigi Lo Cascio), montaggio e sceneggiatura originale.

Ma cosa ci dice oggi, rivisto «a freddo», questo bel film? Al centro de «Il traditore» vi è la figura emblematica e oscura di Tommaso Buscetta. Un eroe o un infame? Un traditore o un collaboratore di giustizia? Buscetta è stato simbolo della lotta alla mafia negli anni ’80 e ’90. La sua testimonianza ha portato a circa quattrocento persone condannate durante il maxiprocesso di Palermo. L’ottimo lavoro che fa Bellocchio nella costruzione del personaggio è soprattutto quello di renderlo una figura liminale, come una medaglia che presenta contemporaneamente due facce. In secondo luogo il film riesce a raccontare la storia su due piani: quello personale e umana di una singola persona, accostato alla storia “con la s maiuscola”, della Repubblica e dell’Italia.

Si racconta la cultura, il retaggio morale, nel bene e nel male, che negli anni ha plasmato il metro di giudizio di un popolo. «Il traditore» affronta direttamente le regole non scritte che regolano le vite dei personaggi: vediamo «il codice mafioso» che viene tradito, il formalismo della giustizia ridotto a circo mediatico, gli ideali di giustizia e di famiglia ridotti a pretesti per azioni riprovevoli. Un film «civile o di denuncia sociale», come afferma lo stesso regista, capace di far luce e ripercorre tratti recenti di storia di un Paese che ancora oggi cerca, nonostante tutto, di curare le proprie ferite, ancora aperte e sanguinanti. Attraverso le grandi prove attoriali riusciamo ad immergerci in un mondo molto distante dalle nostre vite, ma estremamente vicino nell’ombra e nella cronaca. Non fatevi spaventare dalla durata fiume (due ore e mezza), «Il traditore» scorre velocemente. Servirebbero più film così, capaci di riflettere sul bene e il male attraverso lo sguardo e il corpo di uomini tormentati.

Di Gianluca Bernardini e Gabriele Lingiardi