di Gianluca BERNARDINI

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Ci sono film che ti colpiscono dalle prime inquadrature, altri che catturano l’attenzione e ti lasciano col fiato sospeso fino alla fine, altri ancora che ti restano dentro a lungo e normalmente sono quelli che più ricordi, che rivedresti volentieri, che sanno aprire una riflessione che va al di là dello schermo. Uno di questi ultimi è il bel lungometraggio del cineasta e sceneggiatore canadese Philippe Falardeau, «Monsieur Lazhar». Già in sala da qualche settimana e ispirato al dramma teatrale «Bashir Lazhar» di Évelyne de la Chenelière, il «plot» narra la vicenda di un immigrato algerino (il bravissimo Fellag) che approdato a Montreal, con alle spalle un lutto familiare terribile, si improvvisa supplente di una maestra trovata morta in aula in circostanze alquanto tragiche. Sarà l’incontro con la classe che metterà a tema non solo lo scontro tra culture, tradizioni, metodologie, linguaggi ma soprattutto tra mondi e storie che chiedono alla vita di trovare un senso oltre «la fine». Un’esperienza umana che segnerà positivamente il futuro di tutti. Premiato, giustamente, dal pubblico del Festival di Locarno nel 2011, il film mette soprattutto al centro il dolore e il rapporto con la morte. Pur essendo semplice nella sua trama narrativa, la pellicola s’immerge nella complessa e alquanto collettiva rielaborazione del lutto. Gli eccellenti «piccoli» protagonisti, su tutti Alice (Nélisse) e Simon (Néron), ripercorrono, passo dopo passo, un vero percorso di riappacificazione con se stessi, con l’altro, con il mondo. Sarà proprio lo stesso dolore del «maestro» Lazhar, col suo metodo stravagante e obsoleto (almeno per il moderno sistema didattico canadese), il motore dello scontro-incontro col misterioso universo che abita il cuore di ogni singolo individuo. In scena volti, sguardi, espressioni e gesti che arrivano a toccare le corde del cuore senza mai cadere in una mielosa commiserazione. Al centro, nuovamente, il rapporto tra adulti e ragazzi, insegnanti e alunni per un film di formazione che ancora una volta sa andare oltre la scuola, perché si sa che la «vita» continua al di là dei banchi.