di Gianluca BERNARDINI

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Se c’è una cosa che Almodovar sa fare bene è raccontare storie. Storie che appassionano, che incuriosiscono, ricchi di particolari, di colori, di sfumature che sanno tenere attenti e vigili gli occhi degli spettatori. Storie, quelle del regista spagnolo, che attingono ai suoi vissuti, alla vita, ai racconti del cuore (quelli di Alice Murro, per esempio, raccolti in «In fuga», che hanno ispirato non solo il suo ultimo lavoro), carichi spesso di presenze femminili di un certo spessore. Come in «Julieta», l’ultimo film presentato in concorso a Cannes, che narra la storia di una donna (interpretata in giovane età da Adriana Ugarte e poi da adulta da Emma Suarèz), del suo passato, del suo destino, del dolore nonché del senso di colpa. Julieta vive a Madrid e sta per lasciare la città con il suo nuovo «amore», portando avanti l’idea di «cancellare» per sempre il suo trascorso doloroso, quello che ha intrecciato fatalmente la sua vita a una notte, sul treno, dopo aver abbandonato un inquieto passeggero nella sua carrozza, che l’ha portata a incontrare il pescatore Xoan (Daniel Grao), a vivere con lui in Galizia e avere una bimba, la sua adorata Antía. Quella figlia che ha saputo darle consolazione alla morte imprevista di Xoan in mare, dopo una discussione lasciata a metà, e la stessa che al diciottesimo anno d’età scompare dalla sua esistenza, dopo un periodo di «ritiro» e senza dire nulla, causandole ancora un dolore più grande. Una sofferenza che il tempo ha mitigato, ma che non ha cancellato, fino a quando un giorno, per caso (o provvidenza?), Julieta viene a sapere che sua figlia è ancora viva, è sposata e ha tre figli. Un evento che le farà cambiare idea, tanto da ritornare indietro nel quartiere dove ha vissuto con lei, nello stesso caseggiato, negli stessi luoghi frequentati, nell’attesa sofferta di poterla di nuovo incontrare per «comprendere» quei vuoti, quei silenzi (il titolo originale, «Silencio», più che appropriato), e quei giochi del destino che non hanno avuto ancora una risposta. Come anche quel senso di colpa che aleggia sullo schermo come un «fantasma» a cui si vorrebbe dare un volto. Un film complesso, nel suo genere. Un melodramma (un po’ più asciutto), come tanti altri di Almodovar, che forse, come lui sostiene, convince di più la seconda volta che lo si vede. «Le persone – continua – non si conoscono, né si apprezza la loro compagnia, al primo incontro. Con Julieta succede la stessa cosa». A noi la sfida.  

Temi: destino, passato, separazione, lutto, senso di colpa, dolore rapporto madre-figlia.