di Gianluca BERNARDINI

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Ci sono registi che hanno un’innata capacità narrativa come pochi, bisogna riconoscerlo. Tra questi Wes Anderson che, dopo il successo di «Moonrise Kingdom» (2012), torna sul grande schermo con «Grand Budapest Hotel», ennesimo omaggio all’arte del cinema (basti citare la scelta del «formato» e lo stile «vintage» delle immagini) che sa armeggiare con accurata fantasia e assoluta maestria. Dedicato allo scrittore austriaco Stefan Zweing (popolare soprattutto tra gli anni Venti e Trenta) che si vide bruciare dai nazisti quanto aveva prodotto, il film mette in scena la storia del grandioso Hotel, collocato nell’immaginaria Zubrowka, che ebbe i suoi splendori al tempo in cui Monsieur Gustave (Ralph Fiennes) ne era «concierge» o meglio direttore. Insieme al suo neo fattorino Zero (Tony Revolori), giovane immigrato che prese sotto la sua ala protettiva, da raffinato «padrone di casa» egli allietava (in ogni senso) il soggiorno delle «signore bene» che sovente lo frequentavano anche per lunghi periodi. Tra queste Madame D. che morendo lasciò in dote un preziosissimo quadro, oggetto della discordia, nonché delle rocambolesche vicende che ne seguirono e che portarono il giovanissimo «garzoncello» (così lo chiamava) ad ereditare l’albergo. Partendo dal 1968 (l’incontro dell’ormai vecchio Zero, il signor Moustafa, interpretato da Frank Murray Abraham, con lo scrittore, nella persona di Jude Law), fino a toccare il 1932 (l’inizio concreto dei fatti) il regista texano conduce lo spettatore a entrare e a uscire dalle vicende, sradicando ogni elemento narrativo, come se stessimo leggendo noi, nel 1985 (la bimba con il libro in mano): una delle più ingegnose e affascinanti storie che mai avremmo potuto immaginare di ascoltare (o vedere). Sta qui il potere dell’arte del raccontare, messa volutamente a tema, che parla del reale (il vero) mescolando quegli elementi di fantasia che sanno aggiungere alla riflessione quel gusto estetico del piacere, qualità di ogni narrazione ben riuscita. Anderson ci riesce egregiamente (pure col sorriso) e sullo sfondo noi troviamo le terribili ferite di un’Europa che visse nel secolo scorso le disumane tragedie di una Guerra, ancora oggi difficile da dimenticare, che ha lasciato un segno indelebile nella Storia.

Temi: memoria, storia, guerra, il potere del narrare, mestiere-arte.