di Gianluca BERNARDINI

dogman

Ci sono film violenti e ci sono film che parlano di violenza. «Dogman» di Matteo Garrone (lo stesso di «Reality» del 2012 e di «Gomorra» del 2008), presentato con successo all’ultimo festival di Cannes, parla proprio dell’irruenza di quest’ultima (rabbiosa come il cane della prima inquadratura) nella vita di Marcello (interpretato egregiamente da Marcello Fonte, attore non professionista), padre della piccola Alida, il suo amore, e toelettatore di un negozio di bellezza per cani nella periferia anonima della costa laziale. Prendendo spunto dalla storia realmente accaduta di Pietro De Negri, soprannominato il «Canaro della Magliana», che il 15 febbraio del 1988 aveva torturato e ucciso un pugile di cui era spesso vittima, Garrone mette in scena un racconto lucido e asciutto, fatto di immagini che sanno narrare molto più delle parole, nel quale il tema del male viene oggettivamente assunto dal protagonista fino a penetrarlo in fondo all’animo. Cupo (come i colori scelti), grigio come le nuvole presenti in cielo, ciò che si abbatte nella vita di Marcello non lascia margini a luminosi squarci di speranza. Anche quando sei «bello dentro», ami gli animali, sei voluto bene dal quartiere e dagli amici con cui giochi a calcetto, nonché dal tuo stesso aguzzino, l’ex pugile Simocino (Edoardo Pesce), temuto da tutti, che però ti tiene in pugno proprio perché sei buono e gli fornisci la droga. Fino a quando pensi di poterti vendicare, perché hai pagato un prezzo troppo alto per la tua dignità che vorresti recuperare. Perché se si va a fondo (come quando Marcello fa immersione con la figlia per vedere i fondali marini in attesa di spiagge migliori), se ci si guarda dentro, si rischia che manchi poi il respiro. Solo che in superficie c’è ben altro e se il sangue va alla testa è difficile poter tornare indietro. Scelta o destino? Doloroso, quanto mai altamente cinematografico.

Temi: destino, scelta, disagio, bene-male, amicizia, dipendenza, droga, periferia.