di Gianluca BERNARDINI

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«Chi vive da criminale o finisce ammazzato, oppure in galera. Non ci sono alternative. Ma si può ancora scegliere». Così si esprime Francesco Munzi regista di «Anime nere», il film presentato all’ultimo concorso del Festival di Venezia, tra i più applauditi in sala. Girato gran parte in Aspromonte, il film narra la storia di una famiglia invischiata «nella ‘ndrangheta». Al centro Leo (Giuseppe Fumo), il figlio irrequieto di Luciano (Fabrizio Ferracane), pastore «buono» ad Africo. Dopo una bravata «notturna» decide di raggiungere lo zio Luigi (Marco Leonardi), al Nord, impegnato nel traffico di droga proveniente dal Sudamerica insieme al fratello Rocco (Peppino Mazzotta), accasato «benestante» a Milano, anch’egli invischiato in loschi affari. Chiamato da un boss locale per rimettere a posto «la questione», Luigi decide di rientrare con il nipote al «paese», Africo. Parte da qui la «vendetta» che vede però origini lontane, quando anni prima il capo famiglia, il padre e nonno, morì assassinato, vittima di una dolorosa e profonda faida che non ha mai avuto fine. Ispirato al romanzo omonimo di Giacchino Criaco, il film ha il pregio di metterci di fronte al mistero del male che quando penetra nelle profondità della vita non solo ha il potere di sradicare ogni legame, ma di distruggere «l’anima». La messa in scena di Munzi, colpisce per il suo sguardo fatto di sottrazioni, dove anche i silenzi pieni di senso accompagnano passo dopo passo l’evolversi del tragico racconto. Cupo (perfino nella scelta della fotografia), crudo, amaro ma profondamente vero, «Anime nere» ci parla di tradizioni agresti e «costumi» familiari, di una Calabria che, dentro la sua inconfondibile bellezza (perfino nei suoni della lingua), nasconde, tuttavia, ogni desiderio di bene possibile. Un’arresa? Non proprio, piuttosto una tragedia drammatica che suona come monito alle nostre coscienze. Se, dunque, di dramma si tratta (perfettamente narrato), il film, come ha affermato Roberto Saviano, merita di essere visto «per guardare in volto, finalmente, ciò che sino ad ora è stato ignorato: la Calabria come metafora di potere».  D’altronde Mao Tse-tung affermava: «Il potere politico nasce dalla canna del fucile». La storia, a volte «purtroppo», insegna.

Temi: vendetta, faida, morte, ‘ndrangheta, famiglia, tradizioni, dolore, potere, male.