Captain Marvel, Wonder Woman... le supereroine arrivano al cinema. Ma a che punto siamo nella costruzione di un cinema al femminile?

di Gabriele Lingiardi

captain-marvel-poster-cropped

Benvenuta varietà al cinema. Il 2019 cinematografico sembra essere stato descritto dall’edizione degli Oscar appena trascorsa come l’anno in cui ogni spettatore avrà il proprio personaggio con cui identificarsi. L’attenzione del cinema hollywoodiano si è focalizzata, soprattutto a seguito di movimenti di protesta quali #OscarSoWhite e #MeeTo, nel raccontare storie appartenenti alle cosiddette “minoranze”. Tra i premiati agli Academy Awards, da sempre specchio degli umori dell’industria, abbiamo visto Roma, un film messicano dedicato al Messico, Bohemian Rhapsody dove un figlio di immigrati (Rami Malek) interpreta un figlio di immigrati (Freddie Mercury). Si può citare anche Green Book che offre uno spaccato dell’ America razzista e intollerante, o il più radicale BlacKkKlansman.

Più interessante è il caso di Black Panther, un film di supereroi inserito nell’universo narrativo Marvel che è riuscito a cogliere il bisogno di appartenenza delle seconde generazioni di afro-americani, e trasporla in un film dal grande coinvolgimento emotivo.

E per le ragazze? Sembra arrivato il loro momento!

Nel panorama supereroistico (che prendiamo in considerazione in quanto di grandissimo richiamo per i più giovani) gli occhi sono puntati verso l’imminente Captain Marvel in cui la brava Brie Larson interpreta Carol Danvers, una guerriera metà umana e metà Kree dai poteri cosmici.

Ma facciamo un passo indietro: da anni le case hollywoodiane, con la Disney in testa, stanno cercando di offrire uno sguardo diverso. Le principesse non sono più in balia degli eventi in attesa di un principe azzurro, ma sono donne intraprendenti e autonome. Lo sguardo orientato in senso maschile è spesso ridotto al minimo e, finalmente, la donna non è più ridotta a un oggetto del desiderio da salvare, ma diventa il cardine dell’azione. Esempi brillanti di questo sono le principesse di Frozen, complesse nei loro desideri, mai banali nelle emozioni, risolvono i problemi grazie alla loro forza interiore senza il bisogno di un uomo a loro fianco. La coniglietta Judy Hopps di Zootropolis incarna lo stereotipo maschile della poliziotta, ma lo declina al femminile: sente che quello è il suo lavoro ma è costretta a faticare il doppio perché discriminata. Il film non nega il sessismo imperante nella società ma dà modo al pubblico di superarlo e rifiutarlo. Gli esempi potrebbero continuare: Vaiana di Oceania, Astrid di Dragon Trainer (della Dreamworks), Vanellope di Ralph Spacatutto sono figure femminili complesse in cui i più piccoli si possono identificare.

Per quanto riguarda il live action le cose vanno meno bene. Captain Marvel non è certo la prima supereroina a essere la protagonista di un film di grande successo, nel 2016 Wonder Woman di Gal Gadot sbancava il box office nel suo film da solista. Se letto criticamente il film mostrava però i suoi limiti: i lenti dolly dai piedi al volto di Wonder Woman mettono al centro il suo fisico come se fosse in un magazine di moda, le vengono attribuite caratteristiche come la cura delle persone, la ferrea fiducia nell’amore, ma l’assoluta intolleranza verso il male sicuramente positivi, ma che appiattiscono un personaggio sugli stereotipi attribuiti al mondo femminile. Il corpo seducente è ancora al centro. Il principe azzurro c’è e salva ancora una volta la situazione.

Che visione proponiamo quindi alle nostre bambine e bambini? Sicuramente migliore rispetto a quella di molti anni fa, ma il percorso è ancora lungo. Da spettatori è importante esigere che i personaggi raccontino sempre di più la complessità dell’essere umano, rinunciando agli stereotipi di genere. Parte del modo in cui si guarderanno i bambini di oggi nel futuro dipende (in piccola misura) anche da come oggi vengono rappresentati sullo schermo. È importante esigere dall’imminente Captain Marvel un lavoro sul personaggio simile a quello operato da Black Panther: T’Challa è qualcosa di più di un semplice supereroe di colore, è veicolo di un messaggio, di una richiesta comune nel suo pubblico: “vogliamo essere accettati per come siamo, non inglobati in una cultura ma inseriti in un dialogo”. Egli è valido come personaggio perché non è solo un individuo, ma è un simbolo. Cosa sarà Carol Danvers/Miss Marvel è ancora tutto da scoprire, ma l’augurio è che arrivino agli occhi delle future generazioni meno modelli a cui uniformarsi ma più simboli di progresso, di libertà e di accettazione a cui ispirarsi.