Termina la prima edizione del corso organizzato da ACEC della Diocesi di Milano e ALMED. Ecco un resoconto delle quattro giornate di lezione, a cui ha preso parte una classe nutrita ed estremamente varia.

di Gabriele Lingiardi

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Il cinema è un’arte, un mezzo di comunicazione, un oggetto di intrattenimento, ma anche uno strumento attraverso cui crescere. Viviamo in un mondo caratterizzato da una sovrabbondanza di immagini che spesso ci travolgono. Imparare a leggere l’immagine, a capirne i codici linguistici e i “trucchi” attraverso cui è in grado di colpire non solo il nostro immaginario, ma anche le nostre emozioni, è una sfida quanto mai attuale. Per questo motivo l‘ACEC della Diocesi di Milano, assieme all’ALMED – Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano ha organizzato il corso “Il cinema come dispositivo pedagogico” che si è tenuto dal 2 febbraio al 2 marzo per un totale di 4 incontri. Lo scopo è stato quello di formare e informare gli animatori di sala, i docenti, catechisti, ma anche i semplici appassionati sulle possibilità pedagogiche offerte da un film. Ma il focus non si è limitato a questo: sono stati approfonditi anche temi caldi come il rapporto tra i nuovi media over the top (Netflix) e la sala, le varie fasi di produzione e distribuzione di un film e molto altro, per avere un’idea più chiara del settore entro cui si è andati ad operare. I docenti che hanno preso parte al progetto provengono da facoltà diverse, seppur affini, e hanno offerto così una pluralità nutrita di punti di vista. Raffaele Chiarulli ha affrontato la semiotica dell’immagine, approfondendo il concetto di inquadratura e montaggio e la “grammatica cinematografica”, strumenti essenziali per capire quale sia la visione cinematografica. L’intervento di Alessandra Carenzio ha affrontato il tema del cinema come luogo pedagogico e le diverse finalità educative che può avere la proiezione di un’opera cinematografica. Massimo Scaglioni e Alice Cati si sono soffermati sulla serialità, osservando i cambiamenti in atto nell’offerta e nella poetica dell’immagine. Paolo Braga e Alberto Bourlot hanno rimesso al centro lo schermo come luogo essenziale per la creazione artistica e culturale. Infine Matteo Mazza, docente coordinatore del progetto, attraverso lavori laboratoriali ha approfondito la creazione di percorsi di cultura cinematografica. Così Mazza ha commentato il successo del corso, estremamente partecipato da una classe formata da alunni appartenenti a diverse generazioni, unite da un’unica passione: “abbiamo cercato di costruire un modello di sguardo, che permetta agli spettatori di diventare sempre più consapevoli di fronte a un film, un video, uno spot televisivo o anche di fronte a una serie tv. Siamo convinti della validità dell’offerta proprio perché permette di vedere l’oggetto di indagine (il film) da più prospettive. Crediamo sia stato utile soprattutto a chi deve intraprendere un percorso all’interno delle sale di comunità, dell’educazione e della pastorale per diventare sempre più spettatori consapevoli. Il cinema è senza dubbio un dispositivo da interpretare, ma non dobbiamo dimenticarci che è anche un qualcosa da cui lasciarsi interpellare”.